“Suonatori, cantastorie, gitani, viaggiatori del
sogno e dell’illusione, sperimentatori di linguaggi musicali, ma anche,
esploratori di paesaggi letterari danzanti.
Per parlare dei Verdecane, per raccontare dei
Verdecane, prendiamo in prestito le parole che Rostand scrive per Cirano nell’ultima
appassionata autodescrizione: che fu tutto e non fu niente.
Suonatori e cantastorie, perché Non sei fregato
veramente finchè hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.
Dall’incontro di musicisti diversi, diversi quanto
le realtà che si portano appresso scorrono le vite e nascono le storie di cui
raccontano.
Personaggi dimenticati, individui relegati al
margine perché diversi, lontani, ostinati, scomodi o ormai già passati
attraverso troppe primavere.
Un viaggio tra contrabbandieri, folli, assassini,
fattucchiere senza tempo; un viaggio tra locali irraggiungibili e amori forti,
vivendo il sacro attraverso il profano.
Un viaggio in cui non si arriva mai, un viaggio
autoreferenziale, un viaggio senza destinazione ne meta.
Un viaggio come un rendez vous tra viandanti dove
ogni cosa che importa è avere una buona storia da raccontarsi.”
Queste
sono le frasi con le quali si presentano, con le quali la gente li descrive e
sentendo questo loro ultimo disco “EsseViPare”, secondo me descrive molto bene
anche questo lavoro.
Il
titolo “EsseViPare”, è una citazione Pirandelliana, ci rimembra “Così è (se vi
pare)”, famosa opera teatrale di Luigi Pirandello. Questa frase rappresenta un
relativismo delle forme, delle convenzioni e dell’esteriorità, un’impossibilità
a conoscere la verità assoluta (almeno nell’accezione Pirandelliana, che però
mi sembra sia ampiamente rispettata in questo caso).
Lo
stile che li caratterizza è molto vago e vario, spazia dal blues al folk di
paese, dallo ska ballabile alla musica balcanica (molto presente in questo
disco). Sanno creare un sound avvolgente, che sa entrarti in testa e
trasmetterti sensazioni che di solito solo un buon libro sa darti.
Il
mio consiglio è di ascoltarli e lasciarvi coinvolgere dal loro sound, senza
pregiudizi o preconcetti, ma solo con la voglia di lasciarsi andare e guardare
la verità sotto una nuova luce, con un nuovo sguardo, con nuovi occhi.
“Avril
Lavigne” il nuovo scoppiettante album di Avril Lavigne, una canzone diversa
dall’altra, mille generi che si intrecciano tra loro, creando un album del
tutto nuovo e che sicuramente dimostra maturità, voglia di conoscersi sempre di
più e voglia di dimostrare la grande artista che è.
Tredici
brani, quarantasei minuti di musica, che ascolti senzasmettere col fiato sospeso, senza mai
stancarti, a ripetizione quasi continua. Ma essendo Avril Lavigne c’era da
aspettarsi che anche questo album fosse un successone in tutti i sensi.
“Rock’n’Roll”, un singolo molto
grintoso, come era la Avril dei primi tempi, quella di “Complicated” e “Sk8er
Boy”, quasi voler sottolineare che non vuole crescere, che vuole rimanere
sempre se stessa, sempre quella ragazzina ribelle e piena di talento.
Un
testo dai sound molto giovanili, grintosi, con una presenza predominante della
batteria e della chitarra elettrica. Che si tiene in linea col secondo brano
contenuto in questo album “Here’s to never growing up”.
“Here’s to Never
Growing Up”,
la classica canzone da ballo scolastico (“Prom” per chiamarlo all’inglese),
molto grintosa anche essa. Tecnicamente non facile, per i continui stacchi e il
ritmo molto incalzante. Si sottolinea, di nuovo, l’idea del rimanere sempre se
stessa, non crescere, che il tempo di essere giovani non è finito, se ci si
sente giovani dentro.
“17”, cambia
leggermente il genere, ma troviamo lo stesso ritmo incalzante di “Here’s to
never growing up” e anche una vicinanza stilistica. Ritorna il concetto di
libertà, libertà di essere, che è sempre stato un concetto centrale di tante
canzoni di Avril. Ci avviciniamo alla dolcezza di “Let Me Go” in alcuni punti,
per poi tornare al ritmo incalzante che troviamo all’inizio della canzone.
“Bitchin’ summer”, anche qui un
ritmo che incalza, anche se molto più lineare delle canzoni precedenti. Una
canzone che ancora una volta ci parla di ribellione, di giovinezza, come è
giusto che sia alla giovane età dell’artista. Qui ci troviamo anche davanti a
pezzi rap all’interno del testo, un genere in cui Avril fino ad oggi non si era
ancora, mai, cimentata, ma in cui non è per nulla male.
“Let Me Go”, la canzone più
dolce di tutto l’album, fatta in collaborazione col marito, Chad Kroeger. Una
canzone che in parte ricorda “Slipped away”, “Keep Holding On” e “When you’re
gone”, la loro dolcezza, la loro melodia. Il piano iniziale, che rimane lo
strumento principale per tutta la canzone, riesce ad esprimere l’infinita
dolcezza di questa canzone, riuscendo a trasmettere, forse ancora di più del
cantato l’emozionalità di questa canzone, trasformandola in una delle più
belle, se non la più bella canzone di questo album.
“Give you what
you like”,una
canzone dolce ma con un ritmo che incalza al tempo stesso, per una predominanza
della batteria, che sembra quasi un battito di mani in alcuni punti. La
chitarra segue e non segue la voce, creando un intreccio che dà emozione e
atmosfera alla canzone stessa.
“Bad Girl”, canzone
tendente al metal, fatta in collaborazione con Marilyn Manson, amico della
cantante ormai da parecchi anni (si dice che Avril lo conobbe all’età di 18
anni e che siano amici da allora). Una canzone molto diversa da quelle a cui
siamo abituati a sentire di Avril, forse la voglia di riuscire ad attirare
anche un pubblico un po’ diverso o solo la voglia di sperimentare, chissà…,
sicuramente un’altra sperimentazione riuscita e che, secondo me, farà impazzire
il pubblico e le radio.
“Hello Kitty”, una canzone
dedicata alla gattina, intesa non solo come Hello Kitty, ma non ci dilunghiamo
troppo sul significato palese e nascosto di questa canzone. Una canzone in
pieno stile dance, dal ritmo che ti fa venire voglia di ballare. Anche se è
molto discutibile la qualità del testo e la scelta di questa canzone, diciamo
che, secondo me, era meglio se questa canzone la teneva chiusa nel cassetto e
non la editava nel disco, ma quello che è fatto è fatto.
“You Ain’t Seen
Nothin’ Yet”,
una canzone d’amore, ci descrive l’amore, quell’amore a prima vista, quello che
appena vede l’altra persona ti lascia senza fiato, che ti fa cadere la
mandibola. Dice le parole che forse qualunque donna innamorata vorrebbe dire al
proprio lui. Il ritmo è molto incalzante, cosa che quasi mai succede nelle
dichiarazioni d’amore, ma forse proprio questa caratteristica la rende piena di
emozionalità e di atmosfera.
“Sippin’ on
sunshine”,
un testo in pieno stile “R&B”, una canzone che esprime voglia di vivere e
di amare in tutti i sensi. Un ritmo molto incalzante, marcato anche dalla
grancassa della batteria che tiene il tempo.
“Hello Heartache”, una canzone
molto giudiziosa, quasi una riflessione, rispetto ad alcune delle precedenti,
descrive un amore, un’amicizia che finisce, ma non è la fine, è solo un arrivederci,
un addio, ma non è per sempre. Di nuovo molto dolce, non come “Let me Go”, ma
la dolcezza che esprime e i sentimenti che comunica sono quasi i medesimi.
“Falling Fast”, qui ci
troviamo davanti ad un’altra canzone di una dolcezza infinita, che dà i
brividi.
“Stamattina mi
sono svegliata ed ho visto il sole
Tu sei arrivato
senza avvisarmi
Mi hai messo un
sorriso sul volto
Vorrei fosse
così ogni mattina
[…..]
Mi sto
innamorando profondamente
E spero che duri
Mi sto
innamorando intensamente di te
Io dico di
provarci, di resistere finché riusciamo
So che provi la
stessa cosa
Mi sto
innamorando profondamente
Sì, mi sto
innamorando […]”
Ho
voluto mettere questi versi, per far capire l’infinita dolcezza e tenerezza di
questa canzone e del suo testo.
“Hush Hush”, un’altra
canzone dolcissima, ma tristissima allo stesso tempo. Al primo ascolto sa già
metterti le lacrime e infonderti quasi una tristezza senza precedenti.
Un
album, tecnicamente e stilisticamente vario e complesso, senza precedenti,
forse il migliore album di Avril Lavigne, e forse se l’ha chiamato come lei un
motivo ci sarà.